DALLA CRITICA D'ARTE CONTEMPORANEA

OPERE

 BENEDETTO TOZZI

PITTORICHE

 

 

Foto dell'artista del 1948 

 

 

NOTE DI CRITICA D'ARTE

Di G. Colonna

  

 

(Guido Colonna  - BELFAGOR - Rassegna di varia umanità diretta da Luigi Russo, Università di Pisa - Anno I, N. 5 - del 30 settembre 1956)

La critica d'Arte non si è ancora occupata degnamente del pittore di Subiaco, troppo impigliata nei meandri dell'astrattismo e nella prefigurazione di un linguaggio eccessivamente deformante.  Il Tozzi, dal canto suo, non favorisce il suo inserimento nella vita artistica nazionale, per riservatezza di carattere e pudore per la sua arte; non si capisce, però, come le giurie per l'accettazione di opere e per l'assegnazione di premi non notino i quadri del sublacense, umiliando così un artista, senza preoccuparsi dei riflessi deleteri che simile comportamento può apportare allo spirito e all'attività di un uomo.   A nostro avviso, la sua poca fortuna presso i critici e la sua esclusione dalla rotazione dei premi si devono alla mancanza di appariscenza e di esasperazione di errori formali (parliamo di appariscenza e di esasperazione poiché il linguaggio del Tozzi non è davvero ortodosso), all'assenza di intellettualismi,  alla repulsa delle scacchiere geometriche, perché sembrano questi gli aspetti che la critica esalta come portato della nostra sensibilità "moderna".  La coerenza stilistica e l'attaccamento alla natura costano all'artista un vero e proprio ostracismo dall'onesto riconoscimento e dal diritto alla vita.

Il Tozzi sostiene, e non saremo certamente noi a dargli torto, che non c'è bisogno di allungare le teste a pera, di mettere un occhio solo, di aggrappolare in un fianco gli attributi femminili, di scheletrire rendere goffa o spezzettare la figura umana di ragnificare gli alberi, portare le montagne in primo piano, legnificare il mare. fare triangoli o losanghe, illividire pestare i colori, per essere moderni. 

L'arte quando è veramente arte, è sempre moderna e non ha bisogno di esteriorità alla moda. A questa convinzione egli ha improntato la sua opera, di cui faremo una rapidissima scorsa.

Le esperienze giovanili del pittore si ebbero fin da quando in Italia, messi da parte gli ismi stranieri e nostrani, s'era solennemente impegnato a mostrare al mondo che la grandezza dell'arte riprendeva la sua marcia trionfale da Roma, nuovamente destinata ai fastigi; ma la "romanità" dei grossi pupazzi allisciati con la spazzola, fabbricati su misura dagli ex futuristi, metafisici, ecc., non attrasse il Tozzi.  Fece parte di un piccolo gruppo, che in quel clima "celebrativo" ed eroico, sapeva quasi di fronda: gruppo di amici, aventi in comune l'ansia delle cose nuove e grandi, più che una direttiva d'arte.     Ebbe istintivamente una concezione  pacata e sobria del vero e cominciò a realizzare i suoi quadri con armonie tonali, evitando il contorno astratto e condensando vitalmente i colori: si mosse secondo il filone migliore della vecchia scuola romana, purificata dalle incrostazioni accademiche e permeata di sincera spiritualità. Presto si diffuse un'atmosfera di intimismo, forse sollecitata da un'esigenza di reazione alla ufficialità boriosa dell'arte "Novecento", che si chiamò morandismo, neoromanticismo ed altro, ma nessuno ha notato l'apporto che essa ha dato il Tozzi con la pittura più spontanea, scevra di intellettualismi e di maniera.  Il sublacense. privo di "esperienze" cubistiche, surrealistiche, ecc., produsse di necessità opere genuine, rispondenti unicamente al suo modo di sentire, mentre le opere degli altri artisti risentirono pù o meno dei programmi precedenti.   Perfino quelle del Morandi si cristallizzarono in piacevoli incastri di masse colorate, il cui spirito gelido e geometrico non è alieno dal vecchio sapore metafisico.

Il pericolo per il pittore di Subiaco non era rappresentato dalla indubbia suggestione del linguaggio astratto del Morandi, e non perchè il pittore bolognese operasse a Firenze e non a Roma; il pericolo si chiamò Scipione, amico carissimo ed esempio a cui guardavano i dissidenti.  Col Morandi il Tozzi s'incontrò su un piano di lievito poetico; con lo Scipione, invece, aveva profonde concomitanze spirituali, tra cui le preoccupanti insorgenze mistiche, malgrado il misticismo del sublacense abbia un suo carattere particolare, come vedremo.

Scipione era inquieto e malato come tanti artisti, generatori dell'arte contemporanea.  La sua formazione è stata caotica e contraddittoria: vi contribuirono il bizantinismo, El greco, Tiepolo, Goya, Ingres, Rouault, Soutine, Picasso, ecc.; fu un miscuglio di simbolismo, di classicismo, di romanticismo, espressionismo, cubismo,... Una simile incredibile eterogeneità, immancabilmente riflessa nelle opere, e il tono febbrile che il povero Gino imprimeva ad ogni sua attività, ci hanno indotto a parlare di pericolo.  Comunque il Tozzi, pur respirando nel convulso mondo dell'amico, reso ancora più incombente all'angustia dei limiti consentiti dal regime politico, non si bruciò le ali, grazie ad una non comune saldezza di nervi; ma i nervi si logorano (specialmente quelli di un artista) e la tensione scipioniana, lentamente, gli pervaderà l'anima, fino all'inquietudine, al tormento e, qualche volta, alla disperazione.  Se i critici, invece di apprezzare i toni violastri e sulfurei, le pennellate lingueggianti come fiamme, le atmosfere allucinanti e fumose di bitume dello Scipione, si fossero soffermati allo spirito largamente impostativo di alcuni suoi quadri, incoraggiandolo, e avessero denunciato le incertezze formali e le scorie psicologiche, avrebbero trovato il nesso con quel filone della scuola romana, a cui si è accennato, ed additato al Tozzi e agli altri seguaci la validità della vera, e per noi unica, lezione scipioniana. La critica invece, non riesce ancora a separare il moderno dalle sgrammaticature, perpetrando, postulando a dottrina, l'errore su cui poggia l'arte contemporanea.  Quasi analogamente, non si potesse fare opera di poesia se non sgrammaticando e stravolgendo la sintassi.   

Al primo periodo (siamo circa al 1930) appartengono quadri significativi, come "Testa di contadina", "Pagliaccio", "Paesaggio", e soprattutto "La sedia", che potrebbe essere intitolata "Tristezza di gialli" per il sentimento di abbandono e di solitudine, realizzato con poche e dimesse notazioni giallastre.  In queste opere, specialmente nell'ultima, si sente già un'anima pensosa in ascoltazione di se stessa; chi le interroga sottilmente non stenta a trovarci in luce quel trepido e snervante tormento (quello stesso di Scipione, di Gino Rossi, di Van Gogh, non quello simulato ed oggi tanto in uso!) che farà del Tozzi un infelice: tragico punto d'arrivo di molti artisti, che sentono troppo la disparità tra l'infinita bellezza delle cose e le immagini tratte dalla loro fantasia.  Il linguaggio di questo primo gruppo di quadri è permeato da un tale sentimento religioso che denuncia senza incertezze, la componente mistica del temperamento particolare dell'autore.  Il Tozzi, secondo la borghese consuetudine del tempo, fu educato in una scuola del seminario; affinché tale elemento non getti la minima ombra sull'origine del misticismo dell'artista, diciamo subito che nella fede cristiana del sublacense  non v'è nulla dello stampo corrente dell'opportunismo cattolico, né dell'incapacità  mentale per certi problemi dello spirito; insomma nessun residuo seminaristico o gesuitico è nella onestà che distingue Benedetto Tozzi.   

Il suo sentimento cristiano per la creatura umana e per il mondo che ci circonda, quasi riecheggiamento dello spirito benedettino, lo accosta, per molti aspetti, al buon Van Gogh.  C'è da rimanere stupiti della rispondenza mistica tra le lettere del povero Vincent e le parole del Tozzi;  per fortuna al nostro pittore manca il substrato psicologico e tragico dell'olandese.  Il misticismo del sublacense  è un afflato di genuino francescanesimo che si traduce in bontà quotidiana; un atto, un moto d'amore che, attraverso un'emotiva, magari troppo emotiva contemplazione vuole risalire a Dio.  Una debolezza o una forza, a seconda del punto di vista: questo misticismo, che on ha l'esigenza predicatoria e redentrice di quello di Van Gogh , riesce a catalizzare, sedimentandolo, il proprio senso morboso e ad assumere toni più trasparenti, per cui, fattivamente, se non sempre allo stesso grado e con la stessa purezza, può connaturarsi nella intuizione lirica dell'artista;  processo che non avvenne né in Van Gogh e tanto meno in Scipione, per l'eccesso, l'irruenza, il disordine del sentimento stesso.  Elemento molto importate dell'arte del Tozzi, questo, perché la gradua spiritualmente, la configura criticamente e la differenzia dalla pretenziosa produzione di certi pontefici massimi dell'arte religiosa contemporanea, i quali,  a dispetto del loro conclamato sentimento cattolico, danno le stesse facce ai Cristi e ai pagliacci.  Se si volesse puntualizzare la posizione del sentimento particolare del nostro artista si potrebbe dire che esso è un incontro, non dispiacevole per il raggiunto equilibrio, tra la frenesia sensuale del cattolico e l'allucinante bontà dell'evangelico. 

La tragedia della seconda guerra mondiale turbò il suo lavoro e sconvolse la sua esistenza:  La furia devastatrice gli distrusse la casa, parte della famiglia, i quadri.  Non gli potette distruggere la passione per l'arte, ma gli graffì lo spirito con solchi di amarezza e di sconforto.  Il pericolo evitato nel periodo formativo, tornò a minacciarlo, ad intaccarlo.  I nervi cedettero e l'anima proruppe in espressioni angosciose.  Siamo convinti che se non fosse stato il suo sentimento cristiano a tenerlo, malgrado tutto, ancorato ai grandi ideali della vita, la sua pittura avrebbe sconfinato in un satanismo tipo ensoriano, tragico ed inutile, documento non di forza psicologica come il Satana carducciano, ma di debolezza patologica, come tutti i satanismi non di maniera.  S'infuoca il linguaggio, il contenuto resta umano.

I quadri intorno al 1943 (Cava di bauxite - Fiori - ecc.) sono realizzati con una tale violenza cromatica da farci sentire sul viso e nella carne un brivido di sensualità dolorosa.  Lo sfogo del pittore rappresenta una insopprimibile necessità di esternare la sua macerazione di dentro, di strapparsi dall'intimo il dramma che lo esaspera, perciò ci commuove e ci convince.  Solo chi della critica fa un freddo mestiere di cucitore di frasi, tolte da vecchie caselle mentali, può rimanere inerte di fronte a queste tempeste del cuore.

Segue la serie sulle rovine della sua Subiaco, provata dai bombardamenti; queste opere stillano tristezza da ogni accento di colore.  Qualcuna è tremula, elegiaca, malgrado la tragicità del soggetto e il conturbamento cromatico, le cui contrazioni e lacerazioni aumentano sempre, fino a farci temere un linguaggio convenzionale:  E' vero che tale pericolo viene temperato dalla immediatezza delle sensazioni e dalla conseguente rapida traduzione espressiva, le quali conferiscono freschezza e spontaneità; ma è anche vero che la pittura troppo rapida corre il rischio di diventare bozzettistica specialmente quando l'orditura cromatica è energica e spavalda.  Terrorizzante per la potenza realistica e per lo stato d'animo, imprigionato in poche pennellate di fuoco, la "Donna impazzita durante un bombardamento". L'irruenza cromatica non ha limiti e il potenziale dinamico dell'immagine agisce prepotentemente sul nostro sistema nervoso: Il quadro resiste al confronto con qualunque altro di celebrato autore realista contemporaneo:  E' realismo anche questo. E che realismo! Del resto appartiene proprio al periodo in cui gli artisti più solleciti alle istanze umane, superato il neoromanticismo, si guardano intorno per tendere la mano a chi soffre nell'indifferenza di una società egoista.  Da rilevare che il Tozzi, rispetto agli altri realisti, vede più le rovine delle cose che quelle degli uomini, partecipando così in tono minore alla ricerca del nostro nuovo umanesimo, collettivo e non più individuale:  Vorremmo che l'artista sublacense sostanziasse il suo mondo di materia più umana, perché più vicina ed operante. 

Dopo la guerra, Benedetto Tozzi è ancora un isolato, un po' per l'incomprensione dei "competenti", un po' per un suo bisogno intimo di solitudine. In questa necessità di estraniarsi dai suoi simili è il limite insospettato del suo misticismo.  Verso il 1948 - 49 si ha una benefica distensione di quella strapotenza espressiva, che ormai gli aveva ghermito l'anima. Deve avere influito la morte del padre a sottrarlo un pò al suo demone pittorico: il dolore dell'uomo deve avere agito come una spruzzata di rugiada sull'animo esacerbato dell'artista. Si deve a questo momento spirituale, particolarmente felice, il bellissimo quadro "Trasporto funebre", che ha indotto qualcuno a paragonare il prof. Tozzi al Rembrandt. Noi, pur stimando il pittore di Subiaco, non perderemo il senso delle proporzioni, poiché l'olandese, checché ne pensi certa critica contemporanea, rimane della statura di Dante, Beethoven, Einstein; però in "trasporto funebre", l'impostazione solenne, le vigorose macchie cromatiche, il modo di raggruppare le figure, la piazza luminosa che investe il morto velato e soprattutto, lo spirito tragico e semplice della scena sono elementi che hanno davvero qualcosa del respiro rembrandtiano. E non è poco! E' il soggetto religioso della "Deposizione" che il Tozzi ha umanizzato con accenti di lirica commozione, senza che eso abbia nulla perduto dell'atmosfera sacra dei quadri antichi.  L'opera, che è tra le più valide creazioni del nostro tempo, meriterebbe un saggio a parte, in quanto rappresenta l'incontro più felice tra l'immanenza dello spirito umano e il vero linguaggio moderno, disinvolto, scorrevole, denso di luce e di mistero.  Allo stesso periodo appartiene il paesaggio figurante la "diga di Tivoli", il quale, se non ha l'altezza del "Trasporto", è sempre un bel quadro, in cui l'elemento fantastico trasfigura ampiamente il vero e conferisce alla cromia un'intonazione particolarmente sognante.  Non meritava davvero ( "fantasia" dei competenti allestitori!) di essere esposto al rovescio in una delle maggiori mostre nazionali ove giocano fior di milioni e a nostro avviso, si manca di rispetto, con certe premiazioni, alla memoria di un artista abruzzese.  La distensione dura fin verso il 1952 e comprende alcuni paesaggi insolitamente stemperati e diluiti:  Ci sono degli artisti che hanno creduto di creare chissà quali mondi personali con la levità tutta propria delle stemperature, scambiando un mezzo tecnico con un mezzo espressivo; cosa che per il prof. Tozzi non rappresenta neppure una voluta variazione stilistica o un'evasione dal suo strumentale d'uso, ma solo la contingente mancanza di colori. Riprova, se ve ne fosse bisogno, che il sublacense è artista validissimo se riesce con mezzi opposti al suo temperamento di colorista a dar vita ai suoi fantasmi d'arte:  Negli anni 53 - 54 la colorazione torna a divampare, fino ad incendiarsi, quasi effetto di una nuova ipertensione nervosa.  L'artista, con l'ebbrezza di chi sfrena un mezzo meccanico incredibile veloce, ha voluto provare fino a che punto potesse forzare la sua potenza cromatica:  Le pennellate diventano viva fiamma e, come fiamme scomposte, guizzano ovunque in audaci accostamenti e collisioni, e diremmo anche collusioni, nel senso giuridico, se non si trovasse ardita la transitività dell'inganno dalle persone ai colori. Per il ha grande importanza il magistero cromatico, in quanto costituisce il mezzo della sua espressione, ma esso non deve sovrapporsi alla visione unitaria dell'opera, altrimenti, invece di concludersi in linguaggio, si riduce a semplice frasario, a piacevolezza di superficie (nei casi migliori).  Insegna Van Gogh quando subì l'ossessione del colore: non produsse che accese virgole colorate, sciamanti o turbinati a mulinelli, senza la traccia di un sentimento. E' concetto comune che quando di un quadro si "vede" subito il colore, o si è distratti dal "modo" come esso è stato messo sulla tela, si può essere certi del fallimento dell'opera come realizzazione artistica.  Eppure Benedetto Tozzi ha l'incredibile potere di accordare, sia pure drammaticamente, le esasperanti e "visibilissime" colorazioni alle visioni fantastiche:  Ne viene fuori una pittura densa, eccitante, allucinante se si vuole, ma che realizza, con disinvoltura e suggestione prepotenza, ogni arditezza di soggetto. Il Tozzi è senza dubbio uno dei maggiori coloristi del nostro tempo: i suoi non sono colori fumosi, bituminosi, sporchi, come troppo spesso se ne vedono; sono terzi e vibranti anche nell'impasto serrato, quasi accesi da un'intima purezza; quella stessa che spiritualizza la luce.  Coloro che si affannano a realizzare orge cromatiche, per ostentare una potente personalità pittorica, hanno molto da imparare dal pittore di Subiaco.  Che il Tozzi con questo linguaggio massiccio e lampeggiante affronti il tema del "Tabarin", ove impazzano ballerine di colore, può capirsi, in quanto tale linguaggio è più che confacente al ritmo travolgente della danza negra, ma che si cimenti addirittura in soggetti religiosi lascia perplesso chiunque.  Quest'uomo piuttosto macilento ed esile, ha qualcosa di demoniaco nel grande potere comunicativo.  Con una cromia fauvistica e scoppiettante (non sembri iperbolico il termine) da vita a "Cristo alla colonna", alla "Crocifissione" e alla "Resurrezione".  Sono quadri sconcertanti per l'originalità della concezione, per la tensione con cui sono stati, attuati. per l'atmosfera religiosa che domina la impetuosa colorazione e le impone severità di contenuto; sono quadri degni della massima considerazione, perché creazioni di una sensibilità e di un sentimento non comuni, oltre che documenti di un'anima ebbra e spasmodica.  Il misticismo, contenuto a lungo come ispirazione tematica, qui esplode con tutta la sua foga perturbatrice.  Dopo i sacri furori l'artista pare stanco: una visione più pacata e più lirica, quasi un ritorno all'atmosfera sognante da cui era partito, è nei suoi ultimi quadri:  A noi sembra che questa sia la sua strada migliore, anche se le sue ossessive colorazioni sono le più atte ad essere comprese ed apprezzate dalla critica, per la maggior aderenza alla nostra epoca, malata e convulsa.   Comunque orienterà il suo futuro lavoro, il prof  Tozzi, se incoraggiato, può dare molto all'arte contemporanea.

Guido Colonna

 

 

 

La Redazione di BELFAGOR si associa alla protesta di Guido Colonna, e fa voti per un più equo e meno frettoloso riconoscimento del pittore Benedetto Tozzi - 30 settembre 1956.

 

 

 

 

 

 

Donna atterrita sotto il bombardamento 1950

 

La diga di Tivoli 1949

 

Ritratto di Annetta 1935

 

San Donato 1954

 

Crocifissione 1950

 

Deposizione 1949

 

Resurrezione 1950

 

Il fiume Aniene 1948

 

Subiaco "Le macerie" 1945

 

Subiaco "Le Macerie" 1945

 

Subiaco "Le macerie" 1946

 

Piazza del Campo 1939

 

Subiaco Via della Pila 1945

 

Il Pagliaccio 1938

 

La sedia 1938

 

Testa di contadina 1938

 

La Rocca dei Borgia 1952

 

Paesaggio 1952

 

Femmine 1931

 

Subiaco Via Palestro 1954

 

Fiori 1953