NOTE DI CRITICA D'ARTE

 

VALERIO MARIANI

Sentimento e pittura


Subiaco 1932 - B. Tozzi  
intento a dipinge la Piazzetta di Pietra Sprecata
nel borgo medioevale della Valle 

Quando ancora non conoscevamo l'arte di Benedetto Tozzi altro che per qualche tela scoperta, assai raramente, in mostre collettive, c'incontrammo con lui per caso in viaggio e si cominciò a conversare di pittura.  Ma dal ragionare di "crisi" più o meno veritiere, di drammatiche difficoltà nell'orientarsi nella Babele delle mode e dei manierismi dell'arte, si passò, quasi per reazione spontanea, a parlare di antichi affreschi e naturalmente di quelli, così austeri ed espressivi, di Subiaco.  Scoprimmo allora, all'improvviso, un lato nuovo della personalità così complessa e profonda di Benedetto Tozzi, pittore e uomo dalle inaspettate rivelazioni: ben presto il discorrere fu quasi un monologo, tanto si mostrava esperto di tecnica pittorica d'altri tempi e di restauro: si commuoveva nel rievocare la paziente operosità di quegli artisti per i quali dipingere e pregare erano la stessa cosa e si manifestava nella naturale foga della diretta esperienza quel nucleo più segreto del suo animo che doveva più tardi rivelarsi nelle concitate composizioni sacre, motivate dall'autentico sentimento della spiritualità del dolore, da dipinte con spontanea fattura espressionistica.

LE OPERE

Sono così i larghi abbozzi dal 1949 al 1955: La discesa dello Spirito Santo , L'Assunzione, la Crocifissione, la tintorettesca "Ultima Cena", ma soprattutto quella "Andata al Sepolcro", sorta nella sua fantasia dell'idea personalissima d'una composizione bloccata tra luce ed ombra, nel gesto antico della Maddalena, con le braccia tese contro lo splendore del corpo di Cristo avvolto nel sudario, quasi a far barriera al Destino. Ma sarebbe un errore considerare tutto ciò frutto d'un "momento" particolare della pittura di Tozzi, anche se il tema religioso lo attrasse soprattutto dopo la tragedia della guerra e rappresentò per Lui (ma non soltanto per Lui) quasi un bisogno di invocazione e di testimonianza, nei colori e nelle forme, d'uno stato d'animo estremamente teso e drammatico. Perché, da quando l'inesorabile frattura della morte, avvenuta l'anno scorso  in Subiaco il 14 agosto ci ha invitato fatalmente ad una considerazione "storica" della sua opera, non sappiamo cancellare dal nostro animo il sospetto che su tutta la pittura di B. Tozzi, anche in quella più direttamente ispirata alla realtà della vita, aleggi un velo di religiosa ansia, di slancio, talvolta esasperato nel colore e nella forma, così come, del resto, era accaduto a Scipione e avvenne a molti di quel gruppo d'artisti geniali a cui Egli stesso appartenne: la Scuola Romana.   Svincolato, per istintiva natura, dal grandeggiare compassato nel gusto novecentesco tra le due guerre, quando dipingeva un ragazzo di Anticoli (come "Mario" esposto alla XIX Biennale di Venezia) o la figura di "Nina ", austera vegliarda paesana, scopriva nella verità schietta dell'immagine un "vero" più profondo: perciò queste tele ci fanno "pensare" oltre che richiamarci per la loro spoglia trattazione pittorica.  Contemporaneamente, o poco dopo, come nel poetico "Paesaggio" dipinto nel 1939 (Premio Verona del 1941) il sentimento si fa più intenso, pur nel variare del cromatismo in cui s'accendono improvvisi bagliori o s'avvertono riflessi inaspettati di colori che si spengono lentamente nei grigi e nei bruni. Qui è la natura semplice e antica delle colline o dei dirupi del Lazio, a parlarci in un linguaggio di indimenticabile sentimento umano, quasi che l'animo sensibile dell'artista si identifichi con la terra smossa e con gli alberi radi e si lasci andare lungo la dolce mestizia del profilo dei monti..  Tra i paesaggi che meglio ci inducono a queste riflessioni vorremmo fermarci a contemplare la calma solitaria di quel "Fiume Aniene" del 1932 che ci sembra l'inizio delle molte tele da lui dipinte con una nuova larghezza d'impianto, al di là d'ogni particolarismo. Tuttavia gli stessi paesaggi acquistano un'aria drammatica, una suggestione addirittura allarmate quando l'artista torna a guardarli con gli occhi arrossati dal pianto, quasi in una allucinata visione delle cose e della natura sconvolta attraverso le tragiche sventure della seconda guerra mondiale e le sciagure che si abbattevano sul suo cuore.

Luci lampeggianti colpiscono le poche case ancora in piedi o le mura crollate nella "Subiaco distrutta" e ci stringono l'animo come in un incubo, nel dipinto intitolato "Macerie". Quasi un disperato appello, ancora una volta, alla dolcezza d'un paesaggio tanto amato, sembra la commossa tela "Strade e montagne" del 1952, giacché, ormai, dalle colline un tempo teneramente carezzate dal sole si leva ora la "Montagna" modellata nel colore da pennellate evocatrici d'un momento amaro e spietato.  Così come negli anni più sensibili, anche in B. Tozzi le inflessioni profonde dello spirito trovano la via dell'arte e se questa può sembrarci, nel suo sviluppo, agitata e commossa, varia e talvolta quasi rotta da singulti, è perché tale fu la vita del pittore, al quale dobbiamo guardare con ammirazione e rimpianto.  

                                                                                             Prof. Valerio Mariani